L'Ultima Estate, di Marco Melillo, L'Isola

 
 
 
 
 
 
 

martedì 12 marzo 2013

recensione: "L'ultima estate in città", di Gianfranco Calligarich

 


Se i personaggi di questo intenso testo non avessero avuto un nome, nemmeno ce ne saremmo accorti. Certo, avremmo avuto qualche difficoltà nel ricordare, ancorandovi un’impressione od una sensazione, il motivo della nostra presenza in un dato luogo, una città una casa un albergo, una stanza. Scrivo questo perché, al di là di un sindacabile parere di gradimento del lavoro letterario, L’ultima estate in città di Gianfranco Calligarich non compie il prodigio artificioso di sedicenti scrittori di riempire un libro di figure inutili, nate per far passare il tempo al distratto ed ignaro lettore. Niente e nessuno è inutile in questo libro, tutto si compie. Ma al modo in cui nella vita, si compie. Intendo dire in questo caso che nulla lascerà all’irrealistica cinematografia di registi d’assalto, alla catastrofica fantasia di una pubblicità, alla meschina abilità mistificatoria di un giornale. La vita e basta, potremmo dire. Ed è per gli stessi motivi che, a mio modo di leggere, non esiste in questo libro un solo protagonista. Protagonisti sono gli attori di tutti giorni, quelli perduti, quelli immaginati, quelli da venire, tanto che la trama è un cerchio perfetto, dalle parabole sublimi, che illumina come un’ansia il buio delle vite. L’autore ne fa un cibo succulento, che una volta assaggiato deve essere per forza finito. Finito perché, se il vento scava la terra e gli uomini mutandone orizzonti e sguardi, l’approdo di un viaggiatore, un cercatore di cose che fanno al caso suo, è un mare calmo o in tempesta indipendentemente da ciò che –stando come vedette sul caotico divenire della vita- si sarebbe potuto figurare. L’estate, la stagione che infiamma il sedile di un’auto, che zittisce certi cortili, che aiuta ad indagare sulle trasparenze ma al contempo acceca, con la polvere, i desideri nascosti delle persone o li esalta alimentando comportamenti rituali, vale in pieno la metafora dell’esistenza. È il tratto migliore che percorriamo? Va nascondendosi quando si allontana, nelle persone e nei luoghi che hanno visto nascere e morire –o sopirsi- le volontà più ferme che credevamo di aver abbracciato? Sarete voi lettori a scoprirlo ed intenderete, al modo in cui si può intendere la gravità di un silenzio, il breve percorso che può portare da un valore presente ma indecifrabile ad un disvalore prepotente ed appena prima misconosciuto. Sarete voi a godervi questa curva preziosa che lo scrittore offre, tenendovi lo sguardo acceso ed i sensi in bilico, fino alla soglia sublime dell’inevitabile, alla sua disperata ordinarietà.